Disturbi
Terapia di coppia
Non esiste, per noi, un modello di coppia perfetta, un ideale che sia metro di paragone per unire o fare separare coppie. Quindi evitiamo di ergerci quali giudici, mediatori di conflitti per attribuire meriti e colpe ai due partner. Non decidiamo a priori ciò che deve essere normale o patologico.
Esistono semplicemente coppie che funzionano e coppie che hanno funzionato finora, ma di fronte ai ripetuti tentativi per cercare di risolvere un problema finiscono per rimanervi intrappolati: il problema non sta mai in uno solo dei partner, ma nella relazione stessa, o meglio, come direbbe Paul Watzlawick, “la tentata soluzione diventa il problema”. In questa prospettiva, i copioni relazionali che ci si presentano con maggiore frequenza sono:
Il trauma da Separazione o Sindrome d’Abbandono: il percorso della sofferenza
Il problema che ci viene presentato in terapia più frequentemente riguarda la persona che viene lasciata. In questo caso, quindi, non ci riferiamo propriamente a una coppia, a un problema di relazione all’interno di essa, ma al tipico caso di depressione reattiva all’abbandono, di chi non riesce a gestire le emozioni e le difficoltà che incontra di fronte alla separazione, vissuta come un rifiuto, scelto o subito che sia. D’altronde, chi di noi non è stato depresso quando è stato lasciato dalla propria fidanzata? Chi non ha di lei ricordi spiacevoli, se non tristi? Però “chi sarà mai inconsolabile? il tempo è galantuomo” (R.Carver).
A volte può capitare che la situazione degeneri a causa dei tentativi della persona disperata di riconquistare l’amata: telefonate in lacrime per sapere come sta l’amata/o, avendo cura di descrivere nei particolari il proprio dolore, rievocando i momenti belli passati insieme, dicendo che “si tratta solo di un momento di crisi, sei sempre tu la migliore”; inchieste svolte presso gli amici comuni per sapere se sta vedendo qualcun altro; parlare a tutti dei momenti belli passati insieme. In breve questi tentativi che sono anche i medicamenti al proprio dolore.
L’autoinganno sottostante è “se non faccio o smetto di fare tutto questo, allora lui/lei penserà che mi sono arreso, quindi la perderò veramente” oppure “io sono qui che ti aspetto, ti aspetterò sempre”. Questo non fa altro che spaventare l’altro e farlo allontanare ancora di più, se non ha il coraggio di dire inequivocabilmente “è finita, dimenticami!“.
E a volte questo non basta ancora…la tipica ricetta catastrofica del “fare ancora di più dello stesso” (P.Watzlawick).
D’altro canto la persona depressa, poiché scaricata, oltre a questi sterili tentativi di riavvicinamento, di riconquista, non riesce ad accettare il distacco e si comporta da vittima. Chi si mette a strisciare ai piedi dell’altro, non solo lo invita a calpestarlo, ma soprattutto lo induce a pensare che non vale la pena di spendere altro tempo con lui.
La gelosia patologica
I dubbi “con chi sei stato oggi a pranzo?… con un altro uomo/donna?…e cosa hai fatto?” sono tra i più comuni in una coppia. Anche in una coppia che funziona. Possono anche significare una positiva attenzione verso l’altro, oggetto d’amore esclusivo.
Quando però il dubbio fondamentale “potrei essere tradito?” diventa un’ossessione, chi sospetta fa un vero e proprio “terzo grado” al partner, lo tempesta di domande per farsi rassicurare, fino a torturarlo. Il partner cercherà di fornire spiegazioni, rispondere alle inquisizioni, tranquillizzare l’altro.
Ma il dubbio è qualcosa che se svelato si alimenta e si ingigantisce: l’inquisito che rassicura finisce per fornire materiale fertile su cui coltivare nuovi dubbi. Non soddisfatto allora, il geloso si inventa Sherlock Holmes e inizia a controllare gli spostamenti, gli sms sul telefonino, la posta elettronica, i cassetti… ma se tratto il partner come se mi stesse tradendo, sono in realtà io a costringere a farlo, facendolo sentire come un traditore e costruendo, mattone dopo mattone, la profezia più temuta.
Litigiosità e conflittualità
Ci sono coppie che non riescono a non litigare, anzi possono litigare in continuazione su qualunque cosa e andare avanti per ore, per giorni interi, teoricamente all’infinito.
Essere in disaccordo è una componente indispensabile nelle relazioni umane e contribuisce a farle evolvere: la discussione è un momento normale nella vita di coppia, in linea col detto popolare “l’amore non è bello se non è litigarello”.
La discussione è quindi una reazione sana nella vita di coppia se inserita nella giusta misura. Semmai è la sua frequenza eccessiva a costituire un problema.
Spesso si assiste ad una vera e propria escalation: i due incominciano a discutere, dapprima pacatamente, su una questione banale (“è molto bello questo film! – a me non è piaciuto per niente“), poi iniziano a scaldarsi argomentando sulla propria posizione (“mi è piaciuto per questo – non mi è piaciuto per quest’altro”). Il tono si alza sempre di più (“sei la solita buonista a cui piacciono questi filmetti strappalacrime“), uno inizia a offendere e poi attaccare l’altro su un piano personale (“tu non mi hai mai capito, sei il solito stronzo che non riesce a capire le donne!“).
L’attacco da un lato sottolinea attenzione, financo eccessiva, a ciò che l’altro fa e dice, ma dall’altro una totale incapacità ad accettarlo e quindi condividerlo.
Dopo la tempesta, nei momenti di calma, di tranquillità, le coppie litigiose fanno di tutto per spiegarsi l’un l’altro, in modo sereno, i motivi delle loro incomprensioni, sforzandosi di essere ragionevoli per non degenerare in una nuova escalation. Quindi trovano un accordo e si promettono reciprocamente di essere più tolleranti verso i punti di vista dell’altro. Ma è questa la trappola della ragionevolezza: le regole sono fatte per essere trasgredite, le promesse sono fatte per non essere poi mantenute e, puntualmente, i loro buoni propositi crollano davanti al litigio successivo.