Disturbi
Fobie
La paura, in sé, è una emozione sana, non è una forma patologica: è una reazione adattiva che ci protegge dai pericoli dell’ambiente.
La paura, se controllata, ci aiuta a gestire la realtà circostante: solo quando è eccessiva e immotivata, la paura diventa fobia, limitando le nostre capacità.
Le fobie possono assumere le forme più disparate.
Agorafobia
<<In seguito a un presunto attacco di panico, ho iniziato a non allontanarmi dalla mia città. Questo mi dava sicurezza. Poi ho iniziato ad evitare di andare nei grandi centri commerciali, perché sono troppo affollati e con tutta quella gente pensavo di sentirmi male. Quindi ho cercato uscire meno e rimanere nei dintorni di casa, cercavo di andare solo in negozi che fossero vicini. Il passo successivo è stato breve: non uscire praticamente di casa… non sono più in grado di fare nulla da solo, se nessuno mi accompagna.>>
Chi ha vissuto questo tipo di malessere mette in atto un primo, apparentemente innocuo, evitamento che produce una catena di evitamenti che lo portano, inconsapevolmente, a costruirsi la propria prigione: la propria casa, ragionando più o meno in questo modo: “Non sono andato fuori città e sono stato bene, quindi non uscirò più dai limiti della mia città e non avrò più paura“.
Questa logica conduce ad arretrare sempre più il proprio raggio d’azione, a porsi limitazioni sempre maggiori, riducendo al minimo la propria autonomia. In breve “sono stato bene perché ho evitato, quindi se continuo a evitare starò meglio“.
Un altro modo, più indiretto, per aggirare gli ostacoli posti dalla propria paura, è quello di farsi accompagnare. Chi accompagna il pauroso, da una parte gli fornisce la sicurezza che, se dovesse succedere qualcosa, qualcuno è pronto a soccorrerlo. Dall’altra parte, gli conferma anche che, senza questa sorta di “stampella”, lui, da solo, non ce la farebbe. Il messaggio “ti aiuto perché ti voglio bene” diventa “ti aiuto perché da solo non ce la fai“.
Claustrofobia
E’ la paura di non avere vie d’uscita in tutte quelle situazioni in cui la persona non ha il controllo, quasi sempre rappresentate come luoghi chiusi da cui è difficile o impossibile sfuggire:
- luoghi sotterranei: cinema, discoteche, ristoranti, ecc.
- luoghi chiusi e sorvegliati: banche, gioiellerie, ecc.
- mezzi di trasporto: aereo (aviofobia), treni, metropolitana, autobus, tram, auto (sportive in particolare), ascensore, ecc.
- gallerie.
Acrofobia
E’ la paura delle altezze e del vuoto sottostante:
- ponti e viadotti
- piani alti dei palazzi, grattacieli
- seggiovie
Monofobie
Sono paure specifiche che riguardano moltissime specie animali e categorie di oggetti. Tra le più comuni le fobie di piccioni, ragni, topi, cani.
Ipocondria
E’ la costante preoccupazione, paura o convinzione di avere delle malattie, pur sapendo che la propria condizione medica generale è normale.
Chi soffre di ipocondria è “come una bambola rotta con gli occhi rivolti all’interno”, controlla costantemente il funzionamento dei propri organi, arti e apparati e interpreta i segni e sintomi fisici in ogni loro alterazione più precoce, al fine di prevenire e di intervenire sull’ipotetica malattia il più precocemente possibile.
Questo controllo (così come nel panico) fa perdere il controllo quando la persona ha qualche dubbio su qualche “anomalia” che ha riscontrato ascoltandosi.
L’esempio più comune è la fissazione di avere qualche una disfunzione cardiaca non ancora diagnosticata: in questo caso la persona tipicamente inizia a controllarsi continuamente le pulsazioni, per verificare se sono regolari. Normalmente questo non basta, anche perché più uno cerca di controllare la propria naturale frequenza cardiaca, più la altera. Si instaura infatti un meccanismo del tipo “chi cerca trova”: ogni minima alterazione trovata spaventa a tal punto da alterare effettivamente il funzionamento del corpo, con il panico oppure somatizzazioni.
Per tranquillizzarsi, quindi, chiede consulto iniziando una processione verso medici e specialisti, oppure visita siti medici in Internet per saperne di più sulla presunta malattia: questo atteggiamento, che all’inizio risulta tranquillizzante, alla lunga genera un effetto controproducente.